martedì 23 marzo 2010

Massacrato, come da protocollo

Varese, 14 giugno 2008. Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero vengono fermati a piedi in stato di ebbrezza verso le 3 del mattino da una volante dei carabinieri e una della polizia. I due cercano di fuggire ma vengono subito bloccati e spinti a forza in due auto diverse. In caserma, Biggiogero resta nella sala d’attesa controllato a vista, ma per un lunghissimo lasso di tempo, sente Uva urlare da un'altra stanza. Grida ai presenti di smettere di “massacrarlo” ma viene minacciato di subire la stessa sorte. Verso le 4:00, di nascosto chiama con il proprio cellulare il 118. Di seguito, si riporta quella telefonata e la successiva, fatta dal 118 al centralino della caserma.
Biggiogero (sottovoce): «Posso avere un’autolettiga qui alla caserma di via Saffi? Praticamente stanno massacrando un ragazzo».
Centralinista 118: «Ma in caserma?»
B.«Sì»
C. 118: «Ho capito. Va bene adesso la mando».
Dopo due minuti, Centralinista 118: «Mi hanno richiesto un’ambulanza. Non so mi ha chiamato un signore dicendo di mandare un’ambulanza lì da voi, me lo conferma?»
Carabinieri: «No, ma chi ha chiamato scusi?»
C. 118: «Un signore. Mi ha detto che lì stanno massacrando un ragazzo e che voleva un’ambulanza».
Carabinieri: «un attimo che chiedo…No guardi son due ubriachi che abbiamo qui in caserma, adesso gli tolgliamo il cellulare. Se abbiamo bisogno ti chiamiamo noi».
Biggiogero, prima che gli venga portato via il cellulare, riesce a chiamare il padre il quale giunge in caserma offrendosi di accompagnare il ragazzo in ospedale, ma i carabinieri rispondono che il medico presente nella struttura è già sufficiente. Alle 5 del mattino sono i carabinieri a chiamare un'ambulanza, richiedendo un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) per il ragazzo fermato. Uva viene portato quindi al pronto soccorso dell'ospedale di Circolo, viene richiesto il TSO e, verso le 8.30 , è trasferito nel reparto psichiatrico dello stesso ospedale.
Alle 10.30 viene constatato il decesso per arresto cardiaco e dagli esami tossicologici, risulta che la morte è riconducibile alla somministrazione di farmaci controindicati in caso di assunzione di alcol.
L'autopsia è stata fatta in maniere sbrigativa e parziale, senza gli esami radiologici necessari ad accertare fratture e minimizzando o ignorando l’importanza delle lesioni presenti sul suo corpo, in particolare sul dorso e nella regione anale.
Secondo il comandante di polizia ubicato presso il pronto soccorso dell'ospedale, dal referto medico si evinceva la non traumaticità dell'evento e ciò ha causato l'avvenuta conoscenza della morte di Uva in ritardo. Inoltre si legge che la salma di Uva giaceva «supina e senza abiti, con vistose ecchimosi rosso-bluastre nel naso e nel collo, e su tutta la parete dorsale...lesioni di cui non viene fatta menzione nel verbale medico di accettazione». Il comandante aggiunge: «che non vi è traccia degli slip del “de cuius” e su chi abbia provveduto alla loro rimozione dal corpo, indumento tra l'altro, neppure consegnato ai parenti» (probabilmente perché intrisi di sangue). Nel verbale di sequestro degli indumenti viene evidenziato come sui blue jeans del defunto, tra il cavallo e la zona anale, ci sia una «vistosa macchia di liquido rossastro».
Giunta la famiglia in ospedale, alla sorella gli hanno mostrato il ragazzo dicendole che stava dormendo tranquillamente e che si sarebbe svegliato nel pomeriggio. Saputo della morte e visto il cadavere, la ragazza ha chiesto spiegazioni ai medici per le numerose lesioni del fratello e questi le risposero che erano i segni fatti dagli infermieri nei tentativi di rianimarlo...
A distanza di 21 mesi dalla morte di Uva l'indagine sembra destinata all’inconcludenza: due medici sono indagati, ma per quanto riguarda la responsabilità di coloro che hanno trattenuto illegalmente Uva e lo hanno sottoposto a violenze, si procede contro ignoti. Due giorni fa l'Avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi e, prima, dei genitori di Federico Aldrovandi, ha assunto il patrocinio di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, come persona offesa dal reato.
La madre: Continuerò a lottare per sapere che cosa è successo a Giuseppe e a tutti quei ragazzi, tutti, a incominciare da Stefano, Federico, Marcello, tutta questa gente che muore per un arresto cardiaco: chissà perché! Mi chiedo il perché! Alle favole non ci credo più, ormai ho 50 anni e ho smesso di credere alle favole quando avevo 6 anni: voglio sapere perché Giuseppe è morto!”
Il video e i racconti della famiglia.

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