martedì 18 maggio 2010

Il silenzio degli innocenti

Come sapete, ieri due soldati italiani di 33 e 25 anni, sono rimasti uccisi in un attentato a Kabul. E' dal 2004 che l'Italia partecipa alla missione di guerra in Afghanistan, e in 7 anni i caduti militari italiani sono stati 24. In tutto lo stivale sono decine le vie, le piazze, i viali, le strade, i parchi, i colli, i circoli, gli alberi e i piazzali dedicati ai 19 militari caduti nell'attentato di Nassirya. Questo perché c'è molta attenzione da parte dello Stato su questo argomento e per ogni soldato ucciso (in media, uno ogni 106 giorni), ci sono i funerali ufficiali, si riaccende il dibattito politico, si fanno vari discorsi e interventi, servizi televisivi per una settimana o più. Ben venga.
Allo stato attuale i soldati italiani impiegati in Afghanistan sono circa 2.800, dei quali la maggioranza volontari. Da giugno (fonte: Ministro La Russa) arriveranno circa 1000 uomini in più, nell'ambito della nuova strategia di guerra fortemente voluta dal neo nobel per la pace Barack Obama.
Ora, è ovvio che dispiace per la morte di tutti questi soldati, e allo stesso tempo si pensa però che il fatto di andare in guerra, in qualche modo implica fin dall'alba dell'uomo, la possibilità di non tornare indietro vivi. Questa è una oggettiva, tremenda verità. Qualsiasi soldato responsabile e lucido che và in guerra magari anche volontariamente, lo mette in conto che potrebbe succedergli qualcosa. Loro ci partono, si allenano per mesi per sparare e magari uccidere nelle missioni di pace di noi occidentali che la pace la facciamo con la guerra.
Ma al contempo esistono altre persone, che invece escono di casa per andare a prendere l'acqua alla fonte e finiscono per terra con un cranio fracassato da una pallottola inglese. Esistono anche tanti bambini che li vanno a prendere con l'ambulanza perché le loro gambe se l'è portate via una mina con scritto "Made in Italy". Questa gente, quando è uscita di casa, non c'è l'aveva in conto di morire quel giorno. Nessuno li allena per schivare le pallottole o per giocare a calcio nei campi minati.
C'è un video di Emergency abbastanza toccante, dove si mostra la vera guerra, dove si mostra davvero chi combatte. Nella metodologia di intervento della NATO domina il caos: spessissimo i militari sparano a caso per il semplice sospetto della presenza di ribelli. Alcune volte attaccano basi amiche, altre volte sparano ai giornalisti scambiando i loro teleobbiettivi per lancia-missili; troppe altre volte colpiscono zone di soli civili innocenti. Anche i medici di Emergency lavorano a caso...per loro non c'è differenza nei pazienti: siano essi civili, talebani o americani, sono pur sempre feriti e vanno salvati, tutti. Questa è la loro guerra, questa la loro battaglia.
39 i piccoli e grandi conflitti nel mondo e il 90% delle vittime sono civili innocenti dei quali il 40% bambini...
Il 90% delle vittime di guerra è innocente...milioni di persone l'anno...centinaia al giorno.
A loro nessuno dedica nulla...forse non ci sono abbastanza piazze...

Zarghona (25 anni) ha il viso completamente fasciato e la mascella fracassata da una pallottola che, prima di entrare nella sua guancia, ha sfondato la testa del suo bambino di un anno e mezzo, uccidendolo. Parla con un filo di voce, fissando le lenzuola: “Prima hanno iniziato a sparare, poi sono iniziate a cadere le bombe. Tutte le donne del villaggio, come me, sono uscite di casa, fuggendo con i bambini in braccio. Io correvo tenevo mio figlio stretto a me, poi i soldati afgani ci hanno sparato. La stessa pallottola…”. Il pianto interrompe il bisbiglio della donna, che si copre il volto per non farsi vedere.

Zadran ha 16 anni. Gli hanno tolto dalla gamba cinque proiettili. “E’ iniziata una sparatoria, poi gli inglesi, dal deserto, hanno iniziato a prendere a cannonate il villaggio. Sono corso fuori di casa, volevo scappare. I soldati afgani mi hanno sparato con i mitra, colpendomi alla gamba. Nel mio villaggio sono morti 2 bambini. Due uomini sono stati arrestati e giustiziati dai militari governativi senza alcun motivo. Li conoscevo, non erano talebani. Quelli se ne erano già andati”.

Mirwais ha 12 anni. Giace sdraiato su un fianco, immobile e ci resterà per tutta la vita perché un proiettile gli è entrato nella colonna vertebrale, condannandolo così alla tetraplegia. A parlare è suo padre Zalmay, occhi tristi, pelle scura e rugosa, barba sale e pepe e turbante nero. “Da lontano gli inglesi sparavano sul nostro villaggio con i cannoni, invece da vicino i soldati afgani sparavano con i fucili. Un colpo, forse di mortaio, è caduto fuori dalla nostra casa, uccidendo tutte le nostre bestie e ferendo mio figlio al collo e mia moglie alla gamba. Siamo stati fortunati: un altro colpo è caduto sulla casa dei nostri vicini, radendola al suolo e uccidendo due persone”.

Sadikha ha 22 anni e viene dal villaggio di Zumbelay. Una scheggia di bomba aerea le è entrata in pancia, uccidendo il bambino di cinque mesi di cui era incinta. Stà nel reparto di terapia intensiva fasciata dalla testa ai piedi, nascosta dietro una tenda. Fissa il vuoto e farfuglia parole incomprensibili attraverso la maschera a ossigeno. Forse sta raccontando la storia di questa guerra senza senso.

Fonte delle interviste: PeaceReporter

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